Aprile… ad agosto

Qualcuno di voi forse ha notato che a seguito di un aprile 2020 non vissuto, i giorni del mese dormiglione si sono riproposti a caso durante l’estate, manifestandosi con bruschi cali di temperatura e voglia di far niente a intermittenza.

Come molti di voi, anche noi ad aprile avevamo prenotato un hotel nei pressi di Verona per partecipare all’attesissimo Vinitaly, poi saltato quasi all’ultimo momento. Il suddetto hotel non ci restituì la cifra pagata ma ci offrì un voucher, che finalmente abbiamo utilizzato questo w-e, in cui sul lago di Garda si è giustamente ripresentato un giorno di aprile, con clima variabile dal nuvoloso afoso alla pioggia fredda e battente. Ma noi non ci siamo fatti fermare e ci siamo comunque goduti lo spettacolo del cielo in movimento sul lago.

La mattinata del sabato ci ha dato la possibilità di una lunga passeggiata sul lungo lago, giusto per meritarci la cena già prenotata per la sera. Non che io a passeggiare smaltisca calorie, al massimo batteria, ma Federico sì e quindi via consumare kilometri sulla ciclabile, che come dico sempre, finché c’è ciclabile c’è speranza.

Una pioggia improvvisa non ci ha trovati impreparati. Ci siamo rifugiati nel primo risto-gelateria che abbiamo trovato e abbiamo esercitato l nostro diritto di star seduti al coperto orinando un paio di calici di vino, a testa, una bruschetta, delle patatine fritte, un toast. Ci stavamo quasi facendo tentare dal gelato quando la pioggia è calata leggermente, per fortuna perché altrimenti ci saremmo rovinati l’appetito per la cena. Al tavolo a fianco una signora è passata dal gelato alle patatine fritte, sorseggiando sciroppo alla menta come se non ci fosse un domani.

Approfittando della minor intensità piovosa abbiamo recuperato la macchina per andare a rifugiarci nel Museo dell’Olio d’Oliva. Una visita breve ma molto interessante che consiglio a tutti, non si paga nemmeno il biglietto. Dopo la visita è d’obbligo la tappa al negozio. Facendo slalom tra i tanti tedeschi appassionati di gastronomia italica, siamo riusciti ad arrivare al bancone degli assaggi. Partendo dall’olio mediamente intenso, abbiamo strippato come ci hanno insegnato e abbiamo cercato di apprezzare le note delicate dell’olio del Garda. Abbiamo preferito quello da loro definito intenso, che io ho trovato mediamente fruttato e dal giusto livello di piccantezza. Sull’olio ho ancora tutto da imparare ma è sempre bello sperimentare.

Ma finalmente si era fatta quasi l’ora di cena, una bella doccia calda e via si va a Bardolino!

Appena siamo entrati nel ristorante ci siamo sentiti accolti da un calore rassicurante. Dappertutto bottiglie di vino e muri dipinti di grappoli d’uva. Ci hanno fatto sistemare in un angolo appartato dove il tavolo era un vecchio supporto da macchina da cucire Singer e già mi sembrava di essere a casa della mia bisnonna Pina.

Dopo aver ordinato abbiamo chiesto la carta dei vini e mi hanno portato un grosso librone chiedendomi la cortesia di sfogliarlo con guanti monouso, per questioni igieniche ovviamente non essendo sanificabile, ma io mi sentivo come quei restauratori di vecchi libri che con gentilezza sfogliano le fragili pagine in cerca di antiche verità. In vino veritas.

Abbiamo scelto un chiaretto della cantina Le Fraghe, un vino al femminile, così come il ristorante gestito da una Donna del Vino. E quando parlo di femminile a proposito di un rosato intendo struttura ed eleganza, sapidità e freschezza, frutta e fiori da spine, tannino sottilissimo ma percettibile.

Il vino ci ha accompagnato a tutto pasto, che adesso vi racconto, tanto se siete arrivati a leggere fin qua potete anche subire un po’ di acquolina in bocca virtuale.

Come antipasto mi hanno portato una tartare di lavarello servita su una foglia di pane tostato. Succulenza della carne di lago, tendenza dolce della zucchina a cubetti, aromaticità delle erbe, il tutto espresso con la dovuta delicatezza che ci si aspetta da un antipasto. Grande equilibrio nei sapori e giusto nutrimento alla vista, con rosati e verdi a definire il piatto.

Come primo ho scelto gli gnocchi di patate al pesce di lago, salicornia e pomodori gialli, che ho scoperto essere il colore dei primi pomodori arrivati in Europa nel sedicesimo secolo da cui il nome pomo-d’oro. La salicornia conferiva una spinta sapida davvero interessante. L’aspetto del piatto ricordava poeticamente i ciottoli in riva allago accarezzati dalle piante lacustri di vari colori, dal giallo al verde.

Ho finito con un dolce di cui mi sono pentita della condivisione col consorte. Una crème brulé alla lavanda e pepe rosa servita in una ciotola rettangolare lunga e stretta, praticamente un corridoio di gusto da percorrere avanti e indietro col cucchiaino.

Ogni piatto è stato servito con semplicità e col sorriso, visibile dalle mascherine trasparenti, senza spiegazioni ridondanti.

Avrei voluto assaggiare anche molti altri piatti, chissà quando potrò tronare al Giardino delle Esperidi.

Non è importante capire, ma godere

Il blu all’orizzonte era marezzato di spuma, il vento incideva il mare di onde e a noi si era scatenata una gran fame!

Per cena ci siamo spostati quindi nella parte alta della città, dove in una piazzetta affacciata sul mare svetta una torretta medievale “sorretta” da un elefante rosso. Un elefante rosso? Se fossero state allucinazioni forse erano da fame, perché di vino non ne avevamo ancora bevuto. Uno sguardo veloce alla linea di oriente per ammirare il panorama e poi via finalmente al ristorante.

Avevamo prenotato qualche giorno prima e il ristoratore gentilissimo, alla nostra insistente richiesta di informazioni in fatto di accessibilità, ci aveva addirittura inviato un filmato con le riprese dello scivolo all’entrata. Che dire, non ci restava che sederci a tavola e far volare l’aquilone del gusto. Scegliamo quindi il menu degustazione, che fa tanto turista eno-gastronomico pronto a tutto.

E infatti, si materializzano sapori che non avevo mai osato desiderare, come il gelato alla cipolla, la tempura di pollo ai peperoni o l’uovo all’ortica iniettato di visciole. Le papille gustative vanno in piacevole confusione su questa montagna russa di sensazioni che correvano dal freddo al bollente, dalla grassezza alla sapidità.

Per il vino, non conoscendo la play list dei piatti, ci affidiamo al ristoratore, che come proposta iniziale agita per noi un rifermentato col fondo, rosè di montepulciano, Cantina Fontorfio. Dal colore velato, quasi cupo, e i profumi pastosi, questo vino sorprende invece il palato con una freschezza, un’agilità di frutti rossi e una carbonica leggermente appuntita che  non ti aspetti.

Con il secondo, un coniglio alla marchigiana nella sua espressione porchettata più elegante, il gentile oste apre un Montepulciano d’Abruzzo del 2013: Perla nera di Chiusa Grande. Dandogli il tempo di aprirsi, questo vino tira fuori dal cilindro profumi di frutti rossi, cioccolato, liquirizia, e accenni di vaniglia. Morbidezza e corpo caratterizzano questo vino dall’aspetto compatto e dal finale lento.

Che siamo appassionati di vino forse si capisce in fretta, fatto sta che il ristoratore vuole farci assaggiare un’ultima chicca, come dice lui. Secondo me ha disturbato un neonato dalla culla, ma potrei mai tirarmi indietro davanti all’offerta di assaggiare un vino in più?! Pronti assaggiamo questo 2018, vinoso e generoso. Tannico, inebriante di profumi spettinati e porpora di gioventù, quest’ultimo calice ha coronato una bella serata all’insegna del relax da inizio vacanza. Il vino è dell’azienda agricola Massetti Francesco e se gli si lascia il tempo di riposare in bottiglia secondo me farà molta strada. Me lo segno e ripasso tra qualche anno.

Abbiamo finito con un dolce che non ho capito bene, a base di crumble di yogurt (??), melone e zenzero, ma in occasioni del genere capire non è importante, godere sì, quello è fondamentale.

Tutto questo succedeva a San Benedetto del Tronto. Ristorante La Degusteria, del Gigante.

Domenica in città in cerca di brezza marina

Un iniziale momento di imbarazzo a causa di una barriera architettonica di alcuni gradini non opportunamente considerata in un noto ristorante di Bologna, che per una persona che come me si muove con carrozzella elettronica non è cosa da poco, può prendere la piega giusta se poi ti assegnano un tavolo appartato all’aperto all’ombra e ben arieggiato.

Abbiamo rotto il ghiaccio, dopo l’empasse iniziale, con una bella bollicina, poi è iniziata una giostra di sapori che ci ha fatto giocare con le dolci sapidità del crudo di mare e divertire con un fritto di calamari, gamberi, moletto (pesciolino sottovalutato ma ottimo) e zucchine, asciutto, nel senso di non unto, e parecchio gustoso.

Con i vini abbiamo scelto di puntare su un cavallo vincente: il Millesimato 2012 Brut Nature di Picchi. Lo scorso anno abbiamo visitato la cantina in veste ufficiale di neo nato staff di Winemapp durante un bellissimo tour in Oltrepò Pavese e ci siamo innamorati di quel territorio, e di alcune persone lungimiranti che ci lavorano.

Ma torniamo al calice. Le catenelle di effervescenza sono lunghe e sottilissime. Il naso è stuzzicato dalle fragranze di biscotti al miele, frutta gialla disidratata e nocciole, poi improvvisamente svolta sulle erbe aromatiche, stupendo con origano e maggiorana, per poi ricurvare dolcemente su sentori fruttati. All’assaggio riempie la bocca con un corpo saporito e morbido ma che sa cavalcare l’onda della freschezza con una lunga risacca sapida e fruttata. L’abbinamento col pesce è perfetto.

Non abbiamo mangiato solo l’antipasto eh. Il pescato del giorno ci ha dato l’opportunità di scegliere un branzino all’acqua pazza che ci ha fatto navigare nei sughi del gusto. La scarpetta era d’obbligo, piccola zattera di pane a caccia, o meglio pesca, di tutti i profumi di mare e terra che questa ricetta può regalare. Consistenza del pesce da commozione: carne morbida e burrosa, quasi banale dire che si sciogliesse in bocca.

Insomma, oggi siamo stati bene. Per far finta di smaltire abbiamo fatto una bella passeggiata in un parco, beandoci del nostro “pienessere”.

Ah volevate sapere che ristorante è per provarlo? Bè dato che siete arrivati a leggere fino in fondo posso dirvelo: Acqua Pazza.