Il vino è meglio di una guida turistica

Qualche giorno fa ero in uno di quei luoghi in cui quando arrivi hai subito voglia di dimenticarti del resto del mondo. Ti guardi intorno e senti che esistono solo le colline vitate che si alternano ai calanchi. Dall’alto la bassa forlivese, fatta di cubetti grigi e un paio di punte aguzze che torreggiano nel centro, sembra solo uno sfondo lontano, a completare la scenografia di pace.

Il silenzio accarezzava l’aria, suggerendo al corpo di rilassarsi, lasciandosi cullare dal calore della piscina al coperto, quando l’ombra già raggiuge tutta la superficie della vasca all’aperto e il sole non riesce più ad asciugare  quella voglia di estate che ancora ti è rimasta.

Poi c’era il vino. Ah quello sì che rigenera, con la sua eleganza robusta, romagnola, i colori materici che sanno esprimersi anche al palato, i finali lenti.

Non sto scrivendo uno spot pubblicitario per questo wine resort. No, non mi hanno pagata, purtroppo, sto solo raccontando un mercoledì di settembre in cui, con la scusa di festeggiare l’anniversario di matrimonio, siamo andati a rifugiarci in collina per l’ultima fuga di tranquillità prima di affrontare le durezze dell’autunno.

Prima di saltare sull’ultimo vagone di vacanze, con la voglia di non far nulla per tre giorni, ci siamo documentati. No, non leggendo una guida turistica sulla Romagna, ma bevendo ovviamente. Lo scorso anno sempre a inizio settembre eravamo già stati in questa struttura e non ce ne eravamo andati a mani vuote: un Massera 2011, merlot in purezza, era venuto a casa con noi e se ne è stato buono a dormire nel suo cofanetto di legno fino alla settimana scorsa, quando, a guisa di opuscolo informativo sui tesori segreti di una località, ha sintetizzato in un calice tutta una collina.

Appena versato abbiamo capito dal colore che avremmo potuto lasciarlo lì ancora un po’: un rubino profondo materico, con un’unghia ancora violacea, lucida come un’ametista. Al naso un’iniziale esplosione di ciliegie, dalla marasca al durone, ha lasciato spazio a note tostate e a un ricordo di caramella alla mela rossa per poi sintonizzarsi sull’inchiostro. Un profumo scuro, di pigmento, ha catturato il mio olfatto, che si è creduto vista e poi gusto. In bocca la conferma: frutto succoso e persistente, accenni di liquirizia, ancora pigmento che si esprime anche in forma tannica, elegante ma corposa, ancora leggermente spettinata. Già equilibrato, ma una freschezza scalpitante lo fa rivelare giovane… ecco tutta quella lucentezza che schizzava fuori dal buio del calice pieno impenetrabile.

Ma questa zona, che ha dato i natali a personaggi da ricordare per non sbagliare più, è nota soprattutto per il Sangiovese.

Come dicevo, quando arrivi in un posto così non hai più voglia di sapere da che mondo vieni, figuriamoci muoversi con l’auto. Purtroppo però il ristorante della struttura è valido più che altro per i vini. Senza volermi dare delle arie da critico gastronomico quale non sono (criticona sì) non sono riuscita ad apprezzare pienamente i tentativi di mediare lo stile da osteria, solo nel nome, con quello da gran ristorante (solo nell’apparecchiatura). Potrei dilungarmi con le precisazione, ma questo è un blog e non lo spazio per le consulenze. Piuttosto preferisco soffermarmi sul Sangiovese di Romagna DOC superiore del 2015. Superiore a tutti i piatti a cui è stato abbinato a pranzo, questo vino è una festa di profumi, fiori in abito da sera, frutti rossi tirati a lucido, trasparenze cremisi, tannini setosi, pregiati strascichi aromatici, il tutto accompagnato da musica leggera, una freschezza in sottofondo che rende facile la beva.

Dato che l’appetito e la voglia di cercare sempre il meglio sa essere più forte della pigrizia, abbiamo trovato la forza di salire in macchina e scendere a Forlì per la cena: i dettagli nel prossimo post.

Intanto concludo raccontandovi che la mia camera aveva ben due bagni, uno “normale” e l’altro attrezzato con la doccia a pavimento, per me elemento fondamentale come sa chi mi conosce anche solo per iscritto. Comunque me ne stavo beatamente seduta sul wc al mattino e dalla finestra osservavo l’incessante lavoro in cantina all’arrivo delle uve direttamente dalla vendemmia. Sì perché a Borgo Condé la struttura abitativa è accanto alla cantina, ai piedi delle vigne, ed è uno spettacolo poter guardare la massa delle uve blu riversarsi nella diraspatrice, direttamente dal proprio trono igienico.

A proposito, buona vendemmia e buoni lavori di cantina a tutti coloro che stanno faticando per noi wine addicted.

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