Essere Donna… del Vino

Essere una Donna del Vino vuol dire anche concedersi una giornata di svago insieme alle altre DdV dell’Emilia Romagna presso una produttrice romagnola che ha saputo essere più che accogliente. Siamo sulle colline di Rimini, la giornata è caldissima ma una brezza leggera proveniente dal mare muove appena l’aria.

Siamo un bel gruppo, effervescente, fucina di idee e progetti. Oggi ci siamo incontrate solo per stare insieme ma si sa le donne non smettono mai di produrre. Quelle che sembrano chiacchiere frivole in realtà sono occasioni di scambio. Le foto indossando scarpe rosse non sono una forma di vanità ma un’occasione per dire no alla violenza sulle donne, di qualsiasi genere, fisica, economica, psicologica o sociale che sia. E i video girati durante la giornata sono un modo per documentare cosa vuol dire essere una donna che produce vini, fa la mamma, si impegna nel sociale e mille altre cose. Mettersi nelle sue scarpe può essere difficile ma è un modo per cogliere un punto di vista diverso, fatto di fatica e soddisfazioni, spazi da riconquistare quotidianamente e sfide da vincere solo per il fatto di esserci.

Ci siamo messe a tavola e abbiamo goduto di un pranzo quasi del tutto vegetariano, nel rispetto di tutti i gusti. La piadina l’ha fatta da padrona. Sottile e gustosa, come ci si aspetta nel Riminese, che gusto, che senso d’estate e liberta mangiare con le mani!

Abbiamo assaggiato diversi vini. Non ho preso appunti durante la degustazione, che è stata più che altro una bevuta in compagnia. Ma mi è rimasta in mente la freschezza fruttata della Rebola. Da queste parti è così che chiamano il grechetto gentile, che nel mio cuore rimane pur sempre pignoletto. Abbiamo finito con un brindisi tutto in rosa, una bella bollicina a base di Sangiovese, fresca e beverina. Un po’ come questa giornata passata insieme.

Me ne torno a casa con l’orgoglio di far parte di un bel gruppo di Donne che si danno sempre da fare, da cui ho tantissimo da imparare. Essere Donna è anche questo: attingere dal comune ventre di conoscenze ed esperienze per crescere quotidianamente e rimettere in circolo le proprie competenze a favore delle altre, con quella rotondità ciclica che caratterizza il femminile.

Un grazie speciale al Podere dell’Angelo, che ci ha ospitate.

Spremuta di sud

Perdersi sulla SS407 verso mezzogiorno in pieno luglio con 34 gradi all’ombra avrebbe potuto farci demordere, ma i veri appassionati di vino non mollano e, a costo di imboccare stradine sterrate generose di buche ma parche di indicazioni, tornare indietro e poi ripercorrere anonime vie, chiedere indicazioni a chiunque incontrato sul cammino (quasi nessuno), alla fine arrivano a meta, cioè nella cantina dove avevano prenotato una degustazione, particolarmente accaldati ma soprattutto assetati.

Appena entrati abbiamo capito di essere arrivati nel luogo giusto dove ci ha accolto una frescura naturale che restituisce il respiro. Lo sguardo è subito volato al soffitto a volta, alto in mattoni a vista, che lascia immaginare un senso di tradizione rispettata, conservazione architettonica, spazio alla luce, coccola per l’aria a temperatura costante. Ci fanno immediatamente accomodare nella sala degustazione, scegliamo i vini e inizia il viaggio nel meridione del gusto, accompagnati da una tavolozza di sapori lucani.

Partiamo con un bianco, Fiano IGT Basilicata. L’ovo di Elena prende il nome da un ritrovamento archeologico proprio nelle terre da cui nasce questo vino. Si tratta di una piccola statuetta che rappresenta la nascita di Elena, da un uovo appunto. Pare che questo reperto abbia dato soddisfazioni professionali a parecchi archeologi. Noi ne ammiriamo la fotografia e la sensazione è quella di accordarsi ad un senso di rotondità.

Il vino ha una consistenza importante, ruotando stampa sulle pareti del calice un elenco di archetti che annunciano un assaggio caldo. Il colore è giallo sole e al naso esprime profumi di pesca bianca, fiori bianchi, sassi bianchi e un accenno di salvia. In bocca è abbastanza fresco, decisamente sapido, morbido con un finale ammandorlato. Corre in gola che è un piacere, fa dimenticare subito i km percorsi.

Seconda tappa della degustazione è un rosato, che in altre terre potrebbe essere chiamato rosso. Prodotto come vuole la tradizione, il colore acceso deriva dalle uve Primitivo, che di antociani è davvero ricco senza il bisogno di pressarlo troppo. Si chiama Bacche Rosa e al naso offre frutti di bosco, fragoline selvatiche, che conservano quel senso di umido, di ombra, e poi una grattata di noce moscata e un tocco di sambuco a restituire croccantezza al bouquet. In bocca è davvero sapido, quasi piccante, perfetto per un aperitivo a base di salumi.

Infine arriviamo al vino che ricorda una spremuta di sud, chiamarlo vino rosso è riduttivo. Questo è vino nero. Appena lo annuso esclamo “sa di vino!”, nessuno pensi che sia vinoso, stiamo parlando di un Baruch 2015, Primitivo Matera DOC, ma questo profumo fruttato, pieno, mi riporta ai miei primi ricordi enologici in età ancora proibitiva per gli alcolici. Alla seconda olfazione, quella che vorrebbe essere più seria, arrivano i profumi terziari di vaniglia, ciliegia sotto spirito e cacao, ma l’emozione vince sull’analisi organolettica e la voglia di bere è troppa. In bocca il tannino è levigato, elegante, pastoso. Fa venire voglia di carne succulenta, bistecca o bombette. La pienezza del sorso stuzzica l’appetito ma è ora di ripartire. Ci facciamo dare un biglietto da visita, torneremo a provare il ristorante dell’agriturismo. Per adesso ci accontentiamo di portarci a casa uno scatolone di bottiglie, che certi sapori mica puoi lasciarli lì.

Il titolare della cantina ci ha accompagnati nella degustazione con professionalità e simpatia, giocando con noi a degustare secondo la scheda tecnica Ais, che qui non riporto, e raccontandoci tante cose interessanti della sua azienda. Ah non vi ho detto di chi si tratta.

Siamo a Bernalda e l’azienda è la Masseria Cardillo.

Non è importante capire, ma godere

Il blu all’orizzonte era marezzato di spuma, il vento incideva il mare di onde e a noi si era scatenata una gran fame!

Per cena ci siamo spostati quindi nella parte alta della città, dove in una piazzetta affacciata sul mare svetta una torretta medievale “sorretta” da un elefante rosso. Un elefante rosso? Se fossero state allucinazioni forse erano da fame, perché di vino non ne avevamo ancora bevuto. Uno sguardo veloce alla linea di oriente per ammirare il panorama e poi via finalmente al ristorante.

Avevamo prenotato qualche giorno prima e il ristoratore gentilissimo, alla nostra insistente richiesta di informazioni in fatto di accessibilità, ci aveva addirittura inviato un filmato con le riprese dello scivolo all’entrata. Che dire, non ci restava che sederci a tavola e far volare l’aquilone del gusto. Scegliamo quindi il menu degustazione, che fa tanto turista eno-gastronomico pronto a tutto.

E infatti, si materializzano sapori che non avevo mai osato desiderare, come il gelato alla cipolla, la tempura di pollo ai peperoni o l’uovo all’ortica iniettato di visciole. Le papille gustative vanno in piacevole confusione su questa montagna russa di sensazioni che correvano dal freddo al bollente, dalla grassezza alla sapidità.

Per il vino, non conoscendo la play list dei piatti, ci affidiamo al ristoratore, che come proposta iniziale agita per noi un rifermentato col fondo, rosè di montepulciano, Cantina Fontorfio. Dal colore velato, quasi cupo, e i profumi pastosi, questo vino sorprende invece il palato con una freschezza, un’agilità di frutti rossi e una carbonica leggermente appuntita che  non ti aspetti.

Con il secondo, un coniglio alla marchigiana nella sua espressione porchettata più elegante, il gentile oste apre un Montepulciano d’Abruzzo del 2013: Perla nera di Chiusa Grande. Dandogli il tempo di aprirsi, questo vino tira fuori dal cilindro profumi di frutti rossi, cioccolato, liquirizia, e accenni di vaniglia. Morbidezza e corpo caratterizzano questo vino dall’aspetto compatto e dal finale lento.

Che siamo appassionati di vino forse si capisce in fretta, fatto sta che il ristoratore vuole farci assaggiare un’ultima chicca, come dice lui. Secondo me ha disturbato un neonato dalla culla, ma potrei mai tirarmi indietro davanti all’offerta di assaggiare un vino in più?! Pronti assaggiamo questo 2018, vinoso e generoso. Tannico, inebriante di profumi spettinati e porpora di gioventù, quest’ultimo calice ha coronato una bella serata all’insegna del relax da inizio vacanza. Il vino è dell’azienda agricola Massetti Francesco e se gli si lascia il tempo di riposare in bottiglia secondo me farà molta strada. Me lo segno e ripasso tra qualche anno.

Abbiamo finito con un dolce che non ho capito bene, a base di crumble di yogurt (??), melone e zenzero, ma in occasioni del genere capire non è importante, godere sì, quello è fondamentale.

Tutto questo succedeva a San Benedetto del Tronto. Ristorante La Degusteria, del Gigante.

Domenica in città in cerca di brezza marina

Un iniziale momento di imbarazzo a causa di una barriera architettonica di alcuni gradini non opportunamente considerata in un noto ristorante di Bologna, che per una persona che come me si muove con carrozzella elettronica non è cosa da poco, può prendere la piega giusta se poi ti assegnano un tavolo appartato all’aperto all’ombra e ben arieggiato.

Abbiamo rotto il ghiaccio, dopo l’empasse iniziale, con una bella bollicina, poi è iniziata una giostra di sapori che ci ha fatto giocare con le dolci sapidità del crudo di mare e divertire con un fritto di calamari, gamberi, moletto (pesciolino sottovalutato ma ottimo) e zucchine, asciutto, nel senso di non unto, e parecchio gustoso.

Con i vini abbiamo scelto di puntare su un cavallo vincente: il Millesimato 2012 Brut Nature di Picchi. Lo scorso anno abbiamo visitato la cantina in veste ufficiale di neo nato staff di Winemapp durante un bellissimo tour in Oltrepò Pavese e ci siamo innamorati di quel territorio, e di alcune persone lungimiranti che ci lavorano.

Ma torniamo al calice. Le catenelle di effervescenza sono lunghe e sottilissime. Il naso è stuzzicato dalle fragranze di biscotti al miele, frutta gialla disidratata e nocciole, poi improvvisamente svolta sulle erbe aromatiche, stupendo con origano e maggiorana, per poi ricurvare dolcemente su sentori fruttati. All’assaggio riempie la bocca con un corpo saporito e morbido ma che sa cavalcare l’onda della freschezza con una lunga risacca sapida e fruttata. L’abbinamento col pesce è perfetto.

Non abbiamo mangiato solo l’antipasto eh. Il pescato del giorno ci ha dato l’opportunità di scegliere un branzino all’acqua pazza che ci ha fatto navigare nei sughi del gusto. La scarpetta era d’obbligo, piccola zattera di pane a caccia, o meglio pesca, di tutti i profumi di mare e terra che questa ricetta può regalare. Consistenza del pesce da commozione: carne morbida e burrosa, quasi banale dire che si sciogliesse in bocca.

Insomma, oggi siamo stati bene. Per far finta di smaltire abbiamo fatto una bella passeggiata in un parco, beandoci del nostro “pienessere”.

Ah volevate sapere che ristorante è per provarlo? Bè dato che siete arrivati a leggere fino in fondo posso dirvelo: Acqua Pazza.